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La mamma del cinema

La mamma del cinema

Sempre nello stesso periodo (1895), in Francia nasceva la prima casa cinematografica “Gaumont” fondata dall’ingegnere-inventore Léon Gaumont che lavorava alla produzione di un proprio proiettore (che vide la luce nel 1897). Fu tra le pareti di questa azienda che si formò la prima regista donna dell’industria cinematografica: Alice Guy (in seguito si aggiunse con il matrimonio, anche il cognome Blaché).

La mia personale definizione di “mamma del cinema” nasce dallo studio incrociato che ho fatto per comprendere meglio ed appieno il lavoro sommerso di questa giovane pioniera.

Alice Guy era una giovane stenografa, assunta come segretaria presso la Gaumont, una società che lavorava alla creazione di una nuova macchina per le “fotografie in movimento”. A fine 1985 i fratelli Lumière si recarono alla Gaumont porgendo loro l’invito ad assistere alla presentazione del loro “cinematografo” a New York. In una intervista (una delle poche esistenti) “The lost Garden” un’Alice Guy ormai anziana, racconta come la casualità di quell’incontro le abbia cambiato la vita. L’invito, forse rivoltole per gentilezza fu comunque esteso anche a lei.

A New York avvenne la folgorazione. Alice Guy comprese che quello strumento avrebbe potuto essere un ottimo mezzo per “narrare, raccontare storie“. Così non faticò a convincere il capo della Gaumont a farle utilizzare qualche metro di pellicola grazie al quale girò il suo primo cortometraggio “La Fée aux choux” realizzato ai primi del 1896. Questa produzione è stato il suo battesimo artistico: Alice Guy divenne la prima donna ad affermarsi quale regista ed in seguito produttrice della storia del cinema.

La storia raccontata nel cortometraggio era quella di una fata – interpretata da lei stessa – che tirava fuori bambini da sotto dei cavoli enormi. Il film durava un minuto e mezzo ed era un inizio, un inizio di narrazione realizzata con il cinema, quando ancora i fratelli Lumière pensavano che quest’ultimo fosse non oltre una curiosità scientifica, “un’invenzione senza futuro”.

Dunque se la paternità è stata attribuita ai fratelli Lumière come realizzatori del mezzo cinematografico, la maternità dovrebbe oggi essere corrisposta ad Alice Guy poichè fu lei per prima a comprendere che il Cinema è soprattutto una storia raccontata per immagini. Fu lei infatti la prima a sceneggiare e dirigere oltre 1000 film (tra cortometraggi e lungometraggi) anche se oggi la gran parte del suo patrimonio è andato disperso.

L’ascesa e la discesa

Di questa incredibile pioniera si sa relativamente poco. Alice Guy lavorò per anni in Francia per la Gaumont, poi nel 1906 conobbe e sposò con l’operatore di macchina inglese Herbert Blaché (in seguito al quale iniziò a essere conosciuta con il doppio cognome Guy-Blaché). Si trasferì negli Stati Uniti con il marito che fu incaricato a dirigere la sede newyorkese della compagnia Gaumont.

Dopo i primi tre anni dedicati alla famiglia, Alice Guy ritornò al lavoro fondando una propria casa di produzione, la Solax Company, (7 settembre 1910) della quale divenne Presidente e con la quale produsse film interpretati da attori statunitensi, i cui soggetti erano pensati appositamente per il pubblico americano.

Sperimentò il melodramma, la satira ed il realismo. Utilizzò effetti sensazionali dirigendo film di genere avventuroso, fantastico, western e poliziesco. Collaborò con lo scenografo Henri Ménessier, in grado di offrire sempre nuove soluzioni alla fertile immaginazione dell’artista.

Lavorò assiduamente fino ai primi del 1920, introducendo nel cinema il concetto “Be Natural” il cui motto trasformò il modo di comunicare e recitare davanti ad una cinepresa. Durante tutto l’arco produttivo sperimentò il colore ed il sonoro. Fu comunque intorno al 1920 che in seguito all’affermarsi delle Majors, il lavoro per i produttori indipendenti si fece sempre più difficile, subendo un drastico calo. Questo fenomeno si tradusse con la necessaria chiusura della Solax Company.

Oltre a questi problemi, nella vita di Alice Guy Blaché si aggiunse la terribile delusione affettiva del marito che scelse di lasciare moglie e figli inseguendo la sua nuova fiamma, un’attrice conosciuta sul set.

In seguito al divorzio del 1922 Alice Guy Blaché è costretta a tornare in Francia con i suoi figli. Per lei però ricominciare a lavorare nel cinema fu impossibile: la sua terra natia si era dimenticata del suo trascorso. Negli anni scrisse favole e racconti che pubblicò in varie riviste, sotto forma di pseudonimi maschili. Firmò con il suo vero nome solo alcune sceneggiature che però non trovarono produttori.

Nel 1964 fece ritorno negli Stati Uniti. Dopo aver vanamente tentato di far pubblicare la sue memorie tentò assiduamente di farsi riconoscere almeno l’importantissimo ruolo di prima donna regista e produttrice del mondo del cinema.

In venticinque anni di carriera la sua frustrazione più grande fu quella di non vedersi attribuire la maternità di molti film da lei scritti e diretti, tutt’oggi introvabili poichè registrati con la firma della società di distribuzione. Questo fenomeno a quel tempo non era affatto inusuale poiché i titoli di coda sono stati introdotti nel cinema solo dopo il 1970.

I critici cinematografici ed i libri di cinema furono particolarmente ingrati: ridussero i suoi meriti a quelli di una semplice segretaria, arrivando ad insinuare persino di essere stata l’amante di Gaumont. Alice Guy tornò a Parigi, dove morì nel 1968.

Dal 2013, a Parigi è stato dato il nome ad una piazza: Place Alice Guy. L’autobiografia che lei scrisse nel 1940, dovette attendere quasi quarant’anni prima di vedere la luce ed essere pubblicata in lingua francese. Nel 2018 con il documentario “Be Natural: The Untold Story of Alice Guy-Blaché”, narrato per voce di Jodie Foster, si racconta finalmente la sua storia, purtroppo però ancora non sufficientemente trasmessa ai giovani studenti delle scuole internazionali di cinema.

Concludo questo post con la riflessione che fece la stessa Alice Guy Blachédicono che l’America si riprende tutto ciò che ti da“. A lei Los Angeles le ha portato via tutto. Il lavoro, la famiglia ed il nome. La macchina del cinema, costruita attorno al business maschiocentrico più spietato, non è disposta ieri come oggi a lasciare spazio alle produzioni indipendenti, figuriamoci a quelle capitanate da rari esempi femminili di regia e produzione come quello di Alice Guy Blaché alla quale con un colpo di spugna hanno cancellato nome, meriti e talenti.

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